FARMACI E TRATTAMENTO FARMACOLOGICO PER L' ATTACCO DI PANICO
Utilizzare gli psicofarmaci e gli ansiolitici per combattere i sintomi dell'attacco di panico
I trattamenti farmacologici più utili e più rapidi contro l'attacco di panico.
Prima di tutto bisogna chiarire che se si utilizzano dei farmaci ciò non vuol dire non si debba più seguire un programma di cambiamento psicoterapeutico nella speranza che i farmaci facciano tutto da soli.
I farmaci sebbene modifichino l'intensità delle emozioni e addirittura l'orientamento generale del pensiero, non modificano gli specifici modi di pensare ed agire.
Dunque non bisogna farsi trarre in inganno: il fatto che i farmaci siano efficaci ed agiscono a livello chimico, non deve far pensare che l'attacco di panico sia un disturbo puramente biochimico che può essere curato definitivamente risistemando la biochimica del cervello.
I farmaci vanno assunti solo in base a prescrizione medica e sotto controllo medico.
I farmaci possono modificare l'intensità delle emozioni e l'orientamento generale del pensiero e pertanto sono utili nella riorganizzazione della normale attività neurofisiologica, specie se accompagnati da un lavoro di modificazione delle convinzioni e del comportamento.
Infatti lo scopo dell'assunzione dei farmaci non deve essere quello di sfuggire alle ragioni dell'ansia, ma deve aiutare ad affrontarla e superarla.
Le benzodiazepine (dette anche ansiolitici), sono in grado di bloccare un attacco di ansia o di panico in atto.
All’interno di questa classe farmacologica, l'alprazolam si è rivelato molto efficace nella gestione Disturbo di Panico.
Il meccanismo d'azione di questa classe di farmaci consiste nel rinforzare l'azione del neurotrasmettitore cerebrale GABA al livello dei suoi recettori.
Il GABA parrebbe avere la funzione di diminuire l'eccitabilità dei neuroni. Queste molecole svolgono anche una spiccata attività di rilassamento muscolare.
L’uso di benzodiazepine apporta un rapido sollievo al paziente fino a quando gli antidepressivi, che come vedremo in seguito risultano essere i farmaci più efficaci nella cura del DAP, non comincino ad esercitare il loro effetto terapeutico.
Le benzodiazepine possono inoltre essere utili come una sorta di “kit di sicurezza”, in quanto possono essere utilizzate anche in modo “estemporaneo” qualora si verifichino delle crisi d’ansia in modo sporadico
Le benzodiazepine sono farmaci dotati di un buon profilo di tollerabilità: solo in una modesta percentuale di pazienti che assumono benzodiazepine in modo prolungato si può manifestare lo sviluppo di una progressiva tolleranza (cioè la necessità di utilizzare dosi maggiori del farmaco per ottenere lo stesso risultato terapeutico) e, alla sospensione del trattamento, una sindrome da astinenza caratterizzata del possibile ritorno dell'ansia.
Molto usati sono gli antidepressivi in particolare gli Inibitori Selettivi della Serotonina (SSRI). La loro documentata efficacia e l’ottimo profilo di sicurezza hanno fatto in modo che essi rappresentano attualmente il trattamento di prima scelta per gli attacchi di panico.
Questa classe di farmaci aumenta la quantità di serotonina nello spazio sinaptico, cioè nello spazio compreso tra due neuroni, dove normalmente vengono liberate le monoamine (di cui fa parte la serotonina) durante il funzionamento dei circuiti cerebrali.
L'azione farmacologica, in definitiva, consiste in un potenziamento dei livelli dei neurotrasmettitori monoaminergici.
Gli SSRI (fluoxetina, paroxetina, sertralina, fluvoxamina, citapram, escitalopram) richiedono un tempo medio che oscilla tra le 3 e le 8 settimane di somministrazione per apportare una risposta terapeutica adeguata ai soggetti affetti da Disturbo di panico.
Questi farmaci, pur possedendo una spiccata azione antidepressiva, agiscono nondimeno sui meccanismi dell'ansia riducendone la sensibilità. Inoltre questa azione è durevole nel senso che non è collegata temporalmente al momento della somministrazione, come avviene per le benzodiazepine.
Un altro vantaggio degli antidepressivi risiede nel fatto che non determinano né il fenomeno della dipendenza né quello della tolleranza.
Questi farmaci possono essere usati in modo continuativo anche per diversi mesi: la durata del trattamento, affinché si raggiunga un adeguato controllo della sintomatologia ansiosa, non dovrebbe essere inferiore a 6-8 mesi.
Quando il loro uso viene interrotto, è bene farlo in modo graduale solo dietro consiglio del Medico.
Gli effetti collaterali di questi farmaci sono rari e qualora si manifestino sono rappresentati generalmente da: nausea, diarrea, agitazione, secchezza delle fauci, visione offuscata, vertigini, riduzione della libido e sonnolenza.
Tali effetti sono transitori e nella maggior parte dei casi, perdurano per pochi giorni. . In ogni caso gli effetti collaterali degli SSRI sono reversibili, ovvero scompaiono appena si interrompe l’assunzione del farmaco.
Sebbene gli SSRI siano i farmaci considerati di prima scelta nel trattamento del disturbo di Panico sono approvati anche altri “nuovi” antidepressivi, con diverso meccanismo d'azione, che possono dimostrarsi efficaci a tale scopo. Tra questi troviamo principalmente la venlafaxina (SNRI) e la mirtazapina (NaSSA). Sono farmaci che vanno considerati come interventi di seconda scelta nel trattamento del Disturbo di Panico.
Un’altra classe di farmaci utili nella gestione del DAP è costituita dagli antidepressivi triciclici, all'interno della quale si sono rivelate particolarmente efficaci la clomipramina e l'imipramina.
L'azione terapeutica di questi farmaci consiste nell'inibizione della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina.
Questi farmaci non offrono sostanziali vantaggi rispetto agli SSRI nel trattamento degli attacchi di panico, sebbene occasionalmente vi siano pazienti che rispondono meglio a un triciclico rispetto agli SSRI. La condizione che ne fa farmaci di seconda scelta è la presenza di maggiori effetti collaterali.
Anche in questo caso spesso gli effetti collaterali sono maggioranza dei casi transitori. Il problema più importante che riguarda questi farmaci, invece, è la loro incidenza sul sistema cardio-circolatorio che in alcuni casi, ne sconsiglia l'utilizzo in soggetti affetti da gravi patologie cardiache.
In rari casi, a seguito di una brusca sospensione della terapia farmacologica, si può andare incontro a quella che è definita “sindrome da sospensione di antidepressivi”, caratterizzata da vertigini, ansia e agitazione, insonnia, abbassamento del tono dell'umore, cambiamenti dell'umore, nausea e altri sintomi gastrointestinale.
Pertanto, è bene interrompere l’assunzione di Antidepressivi in modo graduale, e dopo averlo concordato con il medico curante.
Farmaci per ridurre i sintomi dell'attacco di panico
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rattamenti e interventi farmacologici per curare il disturbo da attacco di panico o DAP
La terapia farmacologica non è una vera e propria cura per i disturbi d’ansia, ma può tenere sotto controllo i sintomi mentre il paziente viene curato con la psicoterapia. I farmaci devono essere prescritti da medici competenti, normalmente da psichiatri, che possono offrire anche le sedute di psicoterapia oppure lavorare con una squadra di psicologi, assistenti sociali o counselor in grado di offrire la psicoterapia. I farmaci usati con maggior frequenza per curare i disturbi d’ansia sono:
- gli antidepressivi,
- gli ansiolitici,
- e i betabloccanti che tengono sotto controllo alcuni dei sintomi fisici.
Con una terapia adeguata molti pazienti affetti da disturbi d’ansia possono condurre una vita normale e soddisfacente.
Antidepressivi
Gli antidepressivi sono stati creati per curare la depressione, ma sono anche efficaci nella terapia dei disturbi d’ansia. Questi farmaci iniziano a modificare i processi chimici cerebrali già dopo la primissima dose, ma per diventare pienamente efficaci devono provocare tutta una serie di cambiamenti; di solito, quindi, occorrono da 4 a 6 settimane prima che i sintomi inizino ad attenuarsi. È importante proseguire la terapia per tutto il tempo necessario al suo buon funzionamento.
SSRI
Alcuni degli antidepressivi di ultima generazione sono detti inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, o SSRI. I farmaci SSRI alterano i livelli cerebrali della serotonina, un neurotrasmettitore che, come altre sostanze simili, aiuta i neuroni a comunicare tra di loro.
Tra i farmaci SSRI prescritti più di frequente per la cura del disturbo da attacchi di panico, del disturbo ossessivo-compulsivo, del disturbo post-traumatico da stress e della fobia sociale troviamo: la fluoxetina (Prozac®), la sertralina (Zoloft®), l’escitalopram (Cipralex®), la paroxetina (Seroxat®) e il citalopram (Seropram®). I farmaci SSRI vengono anche usati per curare il disturbo da attacchi di panico, quando si verifica contemporaneamente al disturbo ossessivo-compulsivo, alla fobia sociale o alla depressione. Per curare il disturbo d’ansia generalizzato, invece, viene usata la venlafaxina (Efexor®), un farmaco strettamente imparentato con gli altri SSRI. Questi farmaci all’inizio vengono somministrati a basso dosaggio e poi gradualmente aumentati finché non recano giovamento al paziente.
I farmaci SSRI presentano meno effetti collaterali degli altri antidepressivi, ma a volte possono provocare lieve nausea o nervosismo nei primi giorni di terapia. Questi sintomi scompaiono nelle fasi successive. Alcuni pazienti soffrono anche di disfunzioni sessualidurante la terapia con SSRI: il problema può essere alleviato adeguando il dosaggio oppure passando a un altro farmaco della stessa categoria.
Triciclici
I triciclici sono farmaci meno recenti rispetto agli SSRI, ma sono altrettanto efficaci per la cura di tutti i disturbi d’ansia tranne il disturbo ossessivo-compulsivo. Anche il dosaggio dei triciclici all’inizio è basso e in seguito viene aumentato gradualmente. A volte questi farmaci provocano capogiro, sonnolenza, secchezza delle fauci e aumento di peso: di solito questi problemi scompaiono adeguando il dosaggio o passando a un altro farmaco della stessa categoria.
Tra i triciclici troviamo: l’imipramina (Tofranil®), prescritta nei casi di disturbo da attacchi di panico e ansia generalizzata, e la clomipramina, l’unico antidepressivo triciclico efficace per la terapia del disturbo ossessivo-compulsivo.
IMAO
Gli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO) sono la categoria più vecchia di farmaci antidepressivi. Tra gli IMAO prescritti con maggior frequenza per i disturbi d’ansia troviamo: la fenelzina (Margyl®), seguita dalla tranilcipromina (Parmodalin®) e dall’isocarboxazide, utili nei casi di disturbo da attacchi di panico e di fobia sociale. Chi è in terapia con farmaci IMAO non deve assumere diversi alimenti e bevande (come il formaggio e il vino rosso) che contengono la tiramina e nemmeno determinati farmaci, tra cui:
- alcuni tipi di pillola anticoncezionale,
- alcuni analgesici (come il Moment®, il Nurofen® o il Tachipirina®),
- antiallergici,
- antistaminici,
- rimedi erboristici;
queste sostanze, infatti, sono in grado di interagire con gli IMAO e causare pericolosi aumenti della pressione sanguigna. Lo sviluppo di un nuovo cerotto a rilascio di IMAO potrebbe diminuire questi rischi. Gli IMAO, inoltre, possono interagire con i farmaci SSRI e scatenare una sindrome molto grave (sindrome serotoninergica), in grado di provocare:
- stato confusionale,
- allucinazioni,
- forte sudorazione,
- rigidità muscolare,
- convulsioni,
- sbalzi della pressione,
- alterazioni del battito cardiaco,
- altri sintomi potenzialmente letali.
Ansiolitici
Le benzodiazepine combattono l’ansia e hanno pochi effetti collaterali, oltre allasonnolenza. Chi le assume può sviluppare assuefazione, cioè può aver bisogno di dosi sempre più massicce di farmaco per ottenere lo stesso effetto: le benzodiazepine, quindi, vengono prescritte di solito per periodi brevi, soprattutto nei casi di abuso di alcol o stupefacenti e nei pazienti che già sono soggetti a dipendenza dai farmaci. L’eccezione alla regola sono i pazienti affetti da disturbo da attacchi di panico, che possono assumere le benzodiazepine anche per un anno senza soffrire di effetti collaterali.
Il clonazepam (Rivotril®) è usato nei casi di fobia sociale e disturbo d’ansia generalizzato; il lorazepam (Tavor®) è efficace per il disturbo da attacchi di panico mentre l’alprazolam (Xanax®) è efficace sia per gli attacchi di panico sia per l’ansia generalizzata.
Alcuni pazienti soffrono di sintomi da sospensione se smettono di assumere le benzodiazepine da un giorno all’altro anziché diminuire il dosaggio con gradualità: l’ansia può ripresentarsi dopo la fine della terapia. Questi rischi potenziali hanno portato alcuni medici a prescrivere questi farmaci con prudenza o a prescriverli in dosi inadeguate.
Il buspirone (Buspar®), appartenente alla classe degli azapironi, è un ansiolitico di ultima generazione usato per curare il disturbo d’ansia generalizzato. Tra i suoi possibili effetti collaterali troviamo le vertigini, il mal di testa e la nausea. Diversamente dalle benzodiazepine, il buspirone deve essere assunto regolarmente per almeno due settimane perché inizi a manifestarsi l’effetto ansiolitico.
Betabloccanti
I betabloccanti come il propranololo (Inderal®), un farmaco usato per curare le patologie cardiache, possono prevenire i sintomi fisici che accompagnano alcuni disturbi ansiosi, in particolar modo la fobia sociale. Quando è possibile prevedere la situazione che scatena l’ansia (ad esempio un discorso in pubblico), il medico può prescrivere un betabloccante per tenere sotto controllo i sintomi ansiosi.
Assumere i farmaci
Prima di assumere un farmaco per un qualsiasi disturbo d’ansia è necessario:
- Chiedere al proprio medico quali sono gli effetti e gli effetti collaterali del farmaco.
- Comunicare al medico quali terapie alternative state seguendo e quali altri farmaci (anche senza ricetta) state assumendo.
- Chiedere al medico quando e in che modo dovrete interrompere la terapia. Alcuni farmaci non possono essere interrotti bruscamente, ma il dosaggio deve essere diminuito gradualmente sotto la costante supervisione del proprio medico.
- Decidere insieme al medico quale farmaco fa al caso vostro e qual è il dosaggio più adatto.
- Ricordare che alcuni farmaci sono efficaci solo se assunti con regolarità e che i sintomi potrebbero ripresentarsi se smetterete di assumerli.
- Ipocondria:

ovvero paura delle malattie, scaturisce dalla convinzione che all’origine del disturbo ci sia una malattia organica.
L’idea di un origine organica del disturbo diminuisce il livello di angoscia della persona ed e' socialmente più accettabile rispetto al riconoscimento di un’origine psicologica.
- Depressione:

un senso di demoralizzazione e di abbattimento accompagna la limitazione dell’autonomia e l’isolamento sociale che il Disturbo da Attacco di Panico comporta.
L'individuo pensa di non avere le capacità di tornare ad essere quello che era prima della comparsa del disturbo, che non ci siano vie di uscita dalla situazione, che nessuno possa comprendere e aiutare a risolverla.
- Agorafobia:

ovvero paura degli spazi aperti. Il soggetto ha paura di essere intrappolato in un luogo o in situazioni dalle quali la fuga puo' essere difficile o tremendamente imbarazzante.
- Allerta nei confronti delle sensazioni che arrivano dal proprio corpo:

qualsiasi sintomo somatico correlato all’ansia viene interpretato dalla persona come il segnale di un imminente ripresentarsi degli Attacco di Panico. In particolare, l’attenzione e' focalizzata su qualsiasi sintomo di tipo neurovegetativo come sudorazione, tachicardia, tremore ecc..
Questi sintomi, però, sono spesso riconducibili allo stato di allerta in cui si trova l’individuo, ma vengono interpretati come conferma dell' imminente situazione di pericolo e d' incapacità a fronteggiarlo, creando così un circolo vizioso.
- Condotte di evitamento:

Il soggetto tende a evitare in maniera sempre più elevata i luoghi e le situazioni in cui si puo' sentire in pericolo o in imbarazzo.
- Dipendenza dagli altri:

la paura di dover fronteggiare da solo un nuovo attacco di panico induce l’individuo a ricercare la vicinanza e la presenza di parenti e/o amici che lo aiutano a sentirsi più al sicuro. Questo può però comportare la drastica riduzione dei livelli di autonomia della persona che può avere conseguenze al livello di funzionamento sociale e lavorativo in particolare.
Come scegliere i farmaci per liberarsi dai sintomi dell'attacco di panico.
INTERVENTI FARMACOLOGICI E PSICOLOGICI NEL DISTURBO DI PANICO
Il disturbo di panico è un disturbo molto frequente nella popolazione generale e, negli ultimi decenni, è notevolmente cresciuto l'interesse verso la sua eziopatogenesi e cura. Attualmente vi è una consistente letteratura circa i diversi trattamenti possibili; l'intervento terapeutico indicato dalla letteratura internazionale come maggiormente efficace sul disturbo di panico e agorafobia è la terapia cognitivo-comportamentale (CBT).
Con questo termine s'intendono sia tecniche comportamentali (desensibilizzazione sistematica, esposizione in vivo, simbolica, rilassamento, training respiratorio, training assertivo, tecniche di gestione dell'ansia) sia psicoterapie cognitive standard.
Fra le tecniche comportamentali l'esposizione in vivo sembra nettamente più efficace rispetto a tutte le altre (Marks, 1993; Van Balkom, 1997); la tecnica prevede l'identificazione della natura e del grado delle limitazioni fobiche in modo da poter sviluppare una gerarchia di paure ed evitamento da affrontare gradualmente. Il meccanismo dell'esposizione in vivo non è chiaro; le ipotesi sull'efficacia includono l'estinzione alla risposta di paura, l'incremento della personale esperienza di successo e il cambiamento delle rappresentazioni cognitive memorizzate responsabili dell'attivazione delle emozioni.
Per quanto riguarda la terapia cognitiva la tecnica più riportata in letteratura è la ristrutturazione cognitiva. Clark (1986) sostiene che nel fare insorgere l'attacco di panico sia fondamentale la valutazione catastrofica dell'ansia conseguente a sensazioni di tipo fisico, vissute dall'individuo come pericolose. Le tecniche di ristrutturazione cognitiva sono mirate a modificare queste catastrofiche interpretazioni associate al panico (Barlow, 1988) e il significato stesso del panico (Beck, 1985; Salkovskis, 1991).
La terapia cognitiva da sola, tuttavia, risulterebbe superiore solo alle tecniche di rilassamento (Beck, 1985; Clark, 1988); infatti, Chambless (1993) indica come maggiormente efficace sul Disturbo di Panico il trattamento combinato cognitivo-comportamentale (ristrutturazione cognitiva ed esposizione in vivo).
Vari autori (Clark, 1986; Margraf, 1993; Clum, 1993; Gould, 1995; Barlow, 2000) riportano per l'intervento cognitivo-comportamentale tassi di remissione intorno all'80% nei campioni descritti, miglioramenti che permangono anche dopo un anno di follow-up.
Un'ampia letteratura ha dimostrato anche la buona efficacia della maggior parte dei farmaci serotoninergici nel trattamento del disturbo di panico, in particolare clomipramina (Modigh et al, 1992), paroxetina (Wagstaff et al, 2002; Pollack & Doyle, 2003) con o senza l'associazione di benzodiazepine, rappresentate soprattutto da alprazolam (Sheikh & Swales, 1999; Verster & Volkerts, 2004). Negli ultimi anni sono stati condotti molti studi di confronto di efficacia fra l'intervento farmacologico e cognitivo-comportamentale (Klosko, 1990; Cox, 1992; Margraf, 1993; Marks, 1993): quest'ultimo sembrerebbe offrire un maggior numero di guarigioni, un minor numero di drop-out ed un più prolungato mantenimento dei benefici ottenuti, oltre che un importante contenimento dei costi (Otto, 2000; Nadiga, 2003; Rayburn, 2003).
Alcuni studi hanno confrontato l'efficacia di tecniche comportamentali rispetto alla farmacoterapia: nello studio di Clum (1993) l'impiego dell'esposizione in vivo in pazienti con disturbo di panico si dimostrava più efficace rispetto all'uso di antidepressivi, che, a loro volta, si mostravano superiori all'uso di benzodiazepine e alle tecniche di rilassamento ed esposizione in immaginazione (Kilic, 1997). Roth e Fonagy (1996) hanno sottolineato che le tecniche umanistiche e dinamiche non sono per lo più indicate nel trattamento del disturbo di panico, mentre sembra più efficace l'intervento combinato terapia cognitiva e triciclici (imipramina) e, per l'agorafobia, tecniche di esposizione in vivo; quest'ultime risulterebbero parimenti efficaci se fatte insieme o senza il terapeuta.
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